Nebrodi - Prime pesantissime condanne con rito abbreviato e scaturenti dall’operazione “Nebrodi” che aveva portato, il 15 gennaio 2020, a 94 arresti e al sequestro di 151 aziende agricole, una delle più vaste operazioni antimafia eseguite in Sicilia e la più imponente, sul versante dei Fondi Europei dell’Agricoltura in mano alle mafie, mai eseguita in Italia e all’estero.
Queste le condanne inflitte dal GUP Simona Finocchiaro a seguito delle richieste formulate in aula dal Procuratore Aggiunto Vito Di Giorgio e dai Sostituti della DDA Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti coordinati dal Procuratore di Messina Maurizio De Lucia: Al capo clan Sebastiano Bontempo “u guappo” (classe 1969) 24 anni l’accusa aveva chiesto 20 anni, a Giuseppe Bontempo (classe 1964) 10 anni e 8 mesi, a Samuele Conti Mica 2 anni più 4 mila euro di multa. Condannati invece, tenendo conto del regime premiale per i pentiti, Carmelo Barbagiovanni a 3 anni, Giuseppe Marino Gammazza ad 8 anni e 4 mesi in continuazione con precedenti sentenze e Salvatore Costanzo Zammataro a 4 anni tutti e tre collaboratori di giustizia.
Tra i condannati proprio il capo clan Sebastiano Bontempo detto “u uappo”. I ROS intercettarono nel 2016, anno in cui fu compiuto l’attentato ai danni dell’allora Presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, una conversazione di un suo uomo che i Carabinieri definiscono avere “uno speciale rapporto fiduciario con Bontempo Sebastiano inteso “il Guappo”. I Carabinieri evidenziavano “una situazione di tensioni in ambienti criminale”. Proprio nel 2016, per come si evince nell’annotazione dei Carabinieri, tale soggetto nel dialogo con altri sodali si esprime “lamentando la gravità della contingente situazione….. ne evidenziava la valenza dannosa ed il pericolo di rovina per tutti loro, caratterizzata da una restrizione nell’accesso ai contributi e dall’incremento dei controlli”. E riferendosi ad Antoci dice: “Ci vorrebbero cinque colpi per farla finita definitivamente…”.
L’annotazione, contenente la nota di servizio, precisa ancora la valenza criminale dell’interlocutore che: “come risulta agli atti di questo ufficio, la tracotanza manifestata deriva da incrementati contati fra il pregiudicato e la criminalità organizzata di Tortorici (ME), in seno alla quale beneficia di uno speciale rapporto fiduciario con Bontempo Sebastiano inteso “il Guappo”, da poco scarcerato e figura di primo piano di quella consorteria criminale nebroidea. Dall’esame degli atti documentali – dicono i Carabinieri sul soggetto – veniva ritenuto organico al clan “Galati Giordano” le informazioni di cui si dispone lo vedono ora vicino al gruppo Tortoriciano dei “Batanesi” – concludono i Carabinieri dei ROS.
Il Maxi-processo “Nebrodi” vede ancora alla sbarra, al rito ordinario, 111 imputati e, con essi, un sistema mafioso milionario fatto di connivenze e silenzi bloccato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Messina squarciando, dunque, un velo di omertà che aveva soggiogato e sottomesso per anni un intero territorio. Reati che ruotano attorno al lucroso affare dei Fondi Europei per l’Agricoltura in mano alle mafie combattuto con forza con il cosiddetto “Protocollo Antoci”, ideato e voluto dall’ex Presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci. Uno strumento recepito nei tre cardini del Nuovo Codice Antimafia e votato in Parlamento il 27 settembre 2015. Per tutto ciò il Presidente Antoci è stato vittima di un gravissimo attentato mafioso dal quale si è salvato grazie all’auto blindata e all’intervento della sua scorta. Oggi questa normativa consente a Magistratura e Forze dell’Ordine di porre argine ad una vicenda che durava da tanti anni. Infatti, tentano di aggirare la legge e vengono scoperti.
«Il primo passo è fatto – dichiara Antoci -, condanne esemplari. Quelle che si meritano per aver tenuto in ostaggio un territorio, mortificandolo, derubandolo e facendolo regredire. Quei fondi dovevano andare agli allevatori e agricoltori perbene e non ai mafiosi. Questo primo passo fa ben sperare per il prosieguo del Maxiprocesso. Io sarò qui ad attendere. Questa vicenda ha stravolto la mia vita e quella della mia famiglia».
E proprio sull’attentato ad Antoci il Giudice, nell’ordinanza dell’operazione che ha portato alla sbarra gli imputati, scrive: “…. nel contesto che emerge nella presente indagine di truffe milionarie e di furto mafioso del territorio trova aspetti di significazione probatoria e chiavi di lettura di quell’attentato… Antoci si è posto in contrasto con interessi milionari della mafia”.
«Abbiamo colpito con un’azione senza precedenti la mafia dei terreni – aggiunge Antoci -, ricca, potente e violenta, ed è per questo che quella notte volevano fermarmi. Volevano bloccare l’idea di una legge nazionale e dunque tutto quello che sta accadendo oggi. Ma io adesso, grazie alla mia scorta della Polizia di Stato, sono ancora qui e vedo loro alla sbarra e quel sistema mafioso andato in frantumi grazie all’eccellente lavoro svolto dalla Procura Antimafia di Messina, dai Carabinieri del ROS e dalla Guardia di Finanza. Mi sembra un buon osservatorio dal quale attendere le altre condanne»
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